mercoledì 13 maggio 2015

CLASSE 5 - SECONDA SETTIMANA DI MAGGIO - FONTANA E BURRI

LUCIO FONTANA E ALBERTO BURRI

In Italia si sviluppò lo Spazialismo, costituito da Lucio Fontana (1899-1968). I Concetti spaziali di fontana sono superfici monocrome di carta , tela, zinco o rame squarciate da fori o tagli che hanno una evidente funzione simbolica: servono a far intravedere l'infinito che si apre, idealmente, dietro la superficie.

Alla fine degli anni Quaranta, nell'ambito del clima informale, che caratterizza l'arte occidentale, l'opera di Lucio Fontana si distingue per la ricerca di una nuova spazialità. Il desiderio di superamento dei limiti bidimensionali della superficie pittorica e la volontà di far dialogare l'opera con l'ambiente circostante, aprono all'arte concettuale e spaziale e alle ricerche minimaliste degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
Lucio Fontana, Concetto spaziale, Olio su tela, 1949, Roma Galleria Nazionale d'Arte Moderna
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1960, Idropittura su tela, 116x90 cm, Rovereto MART
Lucio Fontana - Concetto spaziale. Attese - 1961 - Idropittura su tela - 100x84 cm - Collezione Barilla


Alberto Burri ( 1915 - 1995) cercò di elaborare un nuovo linguaggio espressivo adottando materiali poveri. Per questo realizzò i suoi celebri sacchi, ottenuti cucendo vecchie pezze di tela di sacco, di grana e colore differenti. Ai sacchi si aggiunsero in seguito i legni, le carte, i ferri , le plastiche bruciate e i cretti, questi ultimi ottenuti da un impasto di bianco e zinco e colle viniliche sottoposto a un processo ed essiccamento.

Alberto Burri - Rosso plastica - 1964 - acrilico combustione su tela - 1.32x1.17 m - Città di Castello (Perugia) Plazzo Albizzini - Collezione Burri


Alberto Burri - Cretto G 1 - 1973 - Acrivinilico su cellotex - Roma Galleria Nazionale di Arte Moderna

Il cellotex è un materiale povero, anonimo, di uso industriale: particelle di segatura e colla pressate insieme. Burri vi interviene «spellandone» a tratti la superficie fino a mettere a nudo le fibre, di colore naturale simile alla iuta: in questo modo riesce ad ottenere dislivelli minimi ma percettibili di superficie, sottili variazioni e alternanze di parti lucide e opache, disegni semplici e sempre differenti, su cui lavora anche con il colore acrilico steso in campiture piatte. Soprattutto nei grandi monocromi neri il materiale così trattato reagisce alla luce, rivelando forme di estrema essenzialità e caricandosi di significato estetico.
Alberto Burri - Grande Cretto - 1984-1989 - Cemento bianco - Gibellina - Trapani

Alberto Burri - Sacco 5 P - 1953 - Tecnica mista: sacco, acrilico, vinavil, stoffa su tela - 1.5x1.3 m - Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini

Sacco 5P del 1953, è una delle tante opere di Burri ottenute con tele di sacchi, talvolta applicate a fondi monocromi, plastici e materici affidati alle diverse tonalità e agli spessori delle tele. "Nel sacco trovo quella perfetta aderenza tra tono, materia e idea che nel colore sarebbe impossibile". E' quanto commentò lo stesso Burri commentando la serie dei suoi sacchi. Sulla stoffa compaiono anche tracce di vernice rossa, simili a squarci insanguinati di una carne già ferita.
Alcuni critici hanno privilegiato una lettura puramente formale del lavoro di Burri. Per esempio, Giulio Carlo Argan scrisse che, con i suoi sacchi, l'artista si limitò a creare la "finzione di u n quadro, una sorta di trompel'oeil a rovescio, nel quale non è la pittura a fingere la realtà, ma la realtà a fingere la pittura". Secondo questa chiave interpretativa, i sacchi sarebbero il risultato di un lavoro assai meditato e razionale, che richiamandosi alla pittura di Mondrian assume una forte valenza astratta. Però, è impossibile non rimanere assorti di fronte a questi brandelli di tela ricuciti. Sdruciti, consunti, sfilacciati e strappati, essi ricordano i vestiti dei poveri, pazientemente rammendati e recuperati o le logore tuniche dei mendicanti. qualcuno ha voluto rivedervi il saio di san Francesco. Senza dubbio, essi appaiono percorsi da una "sofferenza" tutta umana. E, giustamente, parte della critica ha interpretato i sacchi di Burri come una testimonianza di vita sofferta, come una metafora del corpo dilaniato e sanguinante dell'umanità offesa: lacerazioni, cuciture, riporti e bruciature offrono infatti la suggestione di tessuti organici, quasi di carne violentata da piaghe e cicatrici. Secondo la storica dell'arte contemporanea Lara Vinca Masini, per esempio, i sacchi di Burri "laceri e strappati" non solo "costituiscono uno dei momenti più alti dell'Informale materico internazionale" ma danno voce a tutte le sofferenze delle popolazioni "provate dalle guerre, segnate dal sangue e dalle ferite dei genocidi e degli stermini".

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